Trattamento per la cheratite da Acanthamoeba

Quando l’infezione è ancora in fase iniziale e il parassita infiltra solo l’epitelio corneale, il processo patologico può essere facilmente risolto con la semplice rimozione meccanica della zona interessata con spatola, con antisettici o con antibiotici aminoglicosidici fortificati. Quando invece il parassita ha già raggiunto lo stroma corneale l’approccio terapeutico diventa più arduo, anche in relazione alla capacità del protozoo di incistarsi. Le cisti sono infatti molto più resistenti al trattamento farmacologico rispetto ai trofozoiti ed impongono cicli di terapia più prolungati e dall’esito a volte incerto.

Diversi farmaci si sono dimostrati efficaci nel distruggere le cisti ed i trofozoiti di Acanthamoeba spp. in vitro; peraltro, poiché tuttora non si dispone di un valido modello animale, non è stato possibile confermare questi dati in vivo. Clinicamente si è poi osservato che i risultati migliori si ottengono con l’associazione di almeno due principi attivi, ma anche la monoterapia si è  rivelata efficace. Infine, sempre su casi umani in corso di trattamento, è stato dimostrato che si possono instaurare resistenze ad un principio attivo inizialmente efficace.

I principi attivi sulle cisti e sui trofozoiti di Acanthamoeba spp. individuati sino ad oggi sono:

  • derivati della diamidina: propamidina isetionato 0.1% (Brolene® collirio), dibrompropamidina 0.15% (Brolene® pomata), esamidina 0.1% (Desomedine® collirio), pentamidina isetionato
  • agenti antisettici: poliesametilenebiguanide (PHMB) e clorexidina, entrambi in soluzione allo 0.02%
  • derivati azolici: miconazolo 1%, clotrimazolo 1%, chetoconazolo, itraconazolo
  • aminoglicosidi: neomicina, paromomicina
  • Povidone iodato 0.5% (Betadine®)

Recentemente è stata segnalata in letteratura l’efficacia in vitro di voriconazolo (Schuster et al., 2006), confermata successivamente anche in vivo, sia per via topica che intrastromale, in alcuni casi di pazienti con cheratite da Acanthamoeba resistente all’associazione clorexidina-esamidina (Bang et al., 2010).
Facendo riferimento alla letteratura, il trattamento si basa sull’associazione di una biguanide (PHMB o clorexidina) con una diamidina (Desomedine® o Brolene®) (Elder et al., 1994; Hay et al., 1994, Elder e Dart, 1995; D’Aversa et al., 1995; Seal et al., 1995; Tirado-Angel et al., 1996; Seal et al., 1996; Duguid et al., 1997; Niederkorn, 2002; Narasimhan et al., 2002). E’ riportato tuttavia che anche la monoterapia con una biguanide può essere efficace (Lim et al., 2008). Clinicamente si è osservato anche che, in corso di trattamento, si possono instaurare resistenze ad un principio attivo inizialmente efficace (Wysenbeek et al., 2000; Narasimhan et al., 2002).

Protocolli di trattamento

La terapia deve essere instaurata il più rapidamente possibile per cui il trattamento della cheratite da acanthamoeba può essere iniziato subito dopo avere eseguite il prelievo corneale; la risposta dell’esame colturale può richiedere anche diverse settimane. Il protocollo più utilizzato prevede l’associazione di PHMB 0.02% o clorexidina 0.02% con Brolene® o Desomedine®.  Si inizia con somministrazioni ogni ora durante il giorno, evitando la notte, per circa 1-2 settimane, riducendo in seguito in base alla risposta. E’ importante tuttavia ricordare, informando di questo il paziente, che i farmaci sono tossici e possono comportare un iniziale peggioramento del quadro infiammatorio e della sintomatologia, che non va interpretato come un aggravamento dell’infezione. La terapia va mantenuta 3-4 volte al giorno per almeno un mese dalla guarigione clinica, per il rischio che eventuali cisti sopravvissute possano riaccendere il processo.

Gli aminoglicosidici, come la neomicina, non sono sempre efficaci e sono gravati inoltre da un’elevata tossicità per il tessuto corneale. La soluzione di Betadine® 0.5% può essere utilizzata nelle forme superficiali, soprattutto per “toccatura” dopo il prelievo per l’esame microbiologico (Gatti et al., 1998). Può inoltre essere usata temporaneamente nelle ulcere, in attesa di procurarsi i farmaci considerati di prima scelta, mentre non ha alcuna efficacia nella cheratite stromale perché non è in grado di penetrare nello stroma quando l’epitelio è integro.

Il cicloplegico può ridurre la congestione ciliare e migliorare il dolore.
Per il dolore è consigliato utilizzare farmaci per via generale, anche con l’aiuto di specialisti di terapia antalgica, per la gravità che spesso caratterizza il quadro. Sono sconsigliati gli antiinfiammatori non steroidei, per il rischio di aggravare le reazioni tossiche e sono assolutamente da evitare gli anestetici topici per il grave rischio di necrosi colliquativa e perforazione.
Il cortisone va evitato nella fase iniziale del trattamento mentre può essere indicato una volta migliorato il quadro infettivo per ridurre la componente infiammatoria associata. Va comunque utilizzato con estrema cautela.

Problemi in corso di trattamento

La terapia è lunga ed impegnativa e la sua gestione richiede un’adeguata esperienza perché non è sempre facile valutare la risposta al trattamento e le complicanze possono essere molto gravi e di difficile gestione. La resistenza alla terapia può instaurarsi anche in corso di trattamento e va distinta dalla tossicità indotta dai farmaci. In caso di peggioramento in corso di trattamento si può sospendere ogni terapia ed osservare la risposta: se il quadro clinico migliora, si può concludere che si trattava di tossicità da farmaci e sostituire uno dei farmaci utilizzati con un analogo (ad es. PHMB con clorexidina o viceversa) o ridurre il numero di somministrazioni. In caso di mancato miglioramento, si deve invece concludere che si trattava di resistenza; a tal proposito si può sostituire un farmaco con un analogo (come sopra) oppure aumentarne la concentrazione.
Il PHMB è tollerato anche alla concentrazione di 0.04% e 0.06% (De Freitas, 2010). Sebbene il meccanismo d’azione del PHMB sia analogo a quello della clorexidina, in un caso di acanthamebiasi resistente ad entrambi i farmaci, confermato dalla positività alla coltura dopo ripetuti prelievi, abbiamo potuto osservare che l’associazione dei due farmaci ha consentito di risolvere l’infezione. L’effetto dell’associazione delle due biguanidi potrebbe essere il medesimo di quello ottenuto con l’aumento della concentrazione sopra riportato.
Riguardo alla sospensione del trattamento, si deve ricordare che, a differenza delle infezioni batteriche ed anche micotiche, la progressione dell’infezione amebica è molto lenta, per cui non vi è alcun rischio nel sospendere momentaneamente la terapia eziologica. La temporanea sospensione dei farmaci antiamebici è stata anche proposta come terapia “pulsata”, allo scopo di favorire il passaggio del parassita dalla forma cistica, più resistente, a quella vegetativa, molto più sensibile ai farmaci. Nei casi in cui non si ottiene alcun miglioramento, nonostante tutti questi accorgimenti, è consigliabile ripetere il prelievo corneale e procedere a nuovi esami di laboratorio per Acanthamoeba, batteri e miceti.

Nei casi di progressivo peggioramento nonostante la terapia, è stato proposto il ricoprimento congiuntivale. E’ stato dimostrato che l’apporto di sangue con il tessuto congiuntivale può avere un effetto positivo sia sulla necrosi colliquativa che sulla componente infettiva.

La prevenzione si basa praticamente sull’evitare il contatto della lente con acqua contaminata, dal momento che Acanthamoeba ha una diffusione ubiquitaria. Si consiglia quindi di evitare l’uso di LAC in piscina o sotto la doccia, di non lavarle sotto l’acqua del rubinetto e di sostituire frequentemente il contenitore delle lenti.

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